Marina Abramovic al Fuorisalone 2014: “Compio un rituale per svuotare la mente”

Marina Abramovic al Fuorisalone 2014: “Compio un rituale per svuotare la mente”

Marina Abramovic al Fuorisalone 2014: “Compio un rituale per svuotare la mente”
“Mettere in scena un semplice rituale, questa è l’idea della mia performance: dovremmo seguirne uno ogni singolo giorno della nostra vita ma siamo sempre troppo impegnati e non abbiamo abbastanza tempo“. Marina Abramovic, forse la più nota, affermata e controversa artista contemporanea, parla così di “Rice counting exercise”, l’esercizio, per l’appunto, che ha eseguito all’Università degli studi di Milano. Insieme a lei, l’architetto Daniel Libeskind e gli studenti e musicisti/performer del seminario “Drammaturgie intercontinentali” curato da Loredana Putignani, docente del corso specialistico di Regia e pratica e cultura dello Spettacolo dell’Accademia di Belle arti di Brera.Raggiunta dal fattoquotidiano.it, l’artista nata nel ’46 a Belgrado svela qualche dettaglio …

via Il Fatto Quotidiano » Fuorisalone:

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“Mettere in scena un semplice rituale, questa è l’idea della mia performance: dovremmo seguirne uno ogni singolo giorno della nostra vita ma siamo sempre troppo impegnati e non abbiamo abbastanza tempo“. Marina Abramovic, forse la più nota, affermata e controversa artista contemporanea, parla così di “Rice counting exercise”, l’esercizio, per l’appunto, che ha eseguito all’Università degli studi di Milano. Insieme a lei, l’architetto Daniel Libeskind e gli studenti e musicisti/performer del seminario “Drammaturgie intercontinentali” curato da Loredana Putignani, docente del corso specialistico di Regia e pratica e cultura dello Spettacolo dell’Accademia di Belle arti di Brera.

Raggiunta dal fattoquotidiano.it, l’artista nata nel ’46 a Belgrado svela qualche dettaglio sull’indagine da lei compiuta “sull’importanza del concentrarsi, dello stare con se stessi, del trovare il proprio baricentro”. Qualcosa, dice, che “ha a che fare con lo svuotarsi, non con il riempirsi perché la nostra mente è dominata da troppi contenuti”.

L’occasione della visita milanese di Marina Abramovic è la partecipazione all’evento “Feeding new ideas for the city”, organizzato dalla rivista Interni: una mostra collettiva con architetti, artisti e designer, uniti dal desiderio di interpretare, attraverso installazioni temporanee, il tema di Expo 2015, “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”.

Ed è in questo contesto che, nel cortile dell’ateneo, viene esposto un prototipo della postazione progettato da Daniel Libeskind per “Rice counting” che si terrà dall’1 all’11 maggio a Ginevra, quando i soggetti coinvolti saranno chiamati a sedersi per contare due tipi diversi di semi. Il tavolo, nella sua versione definitiva, farà parte della collezione di MAI, il Marina Abramovic Institute, un’organizzazione no profit che propone l’incontro tra discipline umanistiche, arti scienze e tecnologia.

Qui, a eseguire l’esercizio ideato dall’artista dividendo e contando i semi di due differenti tipologie sono alcuni studenti. Con pazienza e cura, circondati da un’apparente noncuranza di visitatori e curiosi che producono un incessante brusio, compiono questo gesto, questo rituale di separazione, di costituzione di un ordine alla ricerca di un’organizzazione dello spazio esterno e interiore, agognato e chissà se infine raggiunto dall’artista 67enne.

La Abramovic introduce la performance spiegando il suo rapporto e la sua concezione del cibo attraverso la proiezione di una successione di immagini scelte insieme all’architetto Libeskind. Una foto di lei e Ulay, suo compagno di arte e vita dal 1977 al 1989: i due mostrano felici il pane che loro stessi hanno cucinato in casa (i più sentimentali non avranno dimenticato quello che accadde al Moma di New York nel 2010 quando Marina e Ulay si incontrano dopo oltre 20 anni da quell’ultimo sguardo al termine dei 2500 km percorsi in senso opposto sulla Grande muraglia cinese).

Scorrono poi immagini del periodo trascorso con gli aborigeni, nel quale, dice Abramovic “più che di mangiare si trattava di bere acqua pura direttamente dalle cascate”. E ancora, foto tratte dalla sua performance “The onion”, altre in cui lei è intenta a pelare patate, “un gesto che amo – afferma – perché è il ricordo delle mie origini, del luogo da cui provengo”. Infine l’esposizione di alcune sue ricette piuttosto particolari, come quella che per una colazione (abbastanza estrema) propone un menu a base di “latte, farina e sangue”. Il proprio sangue.

Sono molti altri i designer e gli artisti che offrono le proprie, scenografiche interpretazioni sul tema Expo 2015 rendendo la Statale di Milano uno dei luoghi più interessanti e variegati del Fuorisalone 2014. Molte anche le conferenze da seguire: oggi, sempre nell’Aula magna dell’Università, quella dal titolo “5×15” vede la partecipazione di alcuni tra i più affermati artisti contemporanei: Michael Anastiassades, Jacopo Foggini, Massimiliano Fuksas, Ben Langlands & Nikki Bell e Moritz Waldemeyer.

Ma la “star”, certamente, rimane lei: Marina Abramovic, donna ben curata, famosa e controversa al punto da far pensare che a lei sia riferita, più o meno esplicitamente, la sequenza del film premio Oscar “La grande bellezza”, nella quale il regista Paolo Sorrentino fa incontrare al proprio protagonista, il giornalista Jep Gambardella, a una improbabile, ma molto seguita artista la cui acme poetica è raggiunta attraverso una testata contro un muro cui seguono copiosi applausi. (video dal canale YouTube ‘LostthewayIT’).

Il che, se pensiamo a molte delle perfomance dell’artista, non è poi così lontano dalla realtà.

Lei, comunque, non sembra preoccuparsi troppo della rappresentazione che ne dà il cinema, nemmeno se si tratta di una pellicola da Oscar: in una recente intervista si dichiarava, anzi, felice come mai prima nella vita. “E lo sono ancora – dice sorridendo al fattoquotidiano.it – Sono felice come non lo sono mai stata”.

Questa volta però, Marina Abramovic lascia che a realizzare la performance siano altri, gli studenti in questo caso, in una messa in scena sicuramente capace di incuriosire e indurre i più ispirati a qualche riflessione, ma lontana dall’estremo delle rappresentazioni artistiche alle quali ci ha (o aveva?) abituati.

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